Lettera a un’amica
Carissima
Valeria, ieri ho fatto l’esame di 1.O: che incubo!
Mi sono svegliata prestissimo (la vecchia 7.V di mio
nonno segnava le 5) e mi sono subito alzata, per ripassare un po’
e fare colazione: caffellatte, pane e 6.O, una 4.V
e una pera 8.O. Sono uscita di casa alle 7. La 3.V
era già intasata: ci ho messo più di un’ora per arrivare
all’Università. Avevo il 1.V, un groppo
in 5.O: non ti sto raccontando 9.V!
Alle 9 (eravamo già tutti in aula) è arrivato il prof. Quattrocchi,
quello che noi chiamiamo “el matador”, per la sua stupida
severità (ci ha sempre fatto vedere i 12.O verdi)
e perché ama abbigliarsi secondo una stucchevole moda 8.V,
con 11.O pesantemente ricamati e pantaloni di 2.V
ricoperti di lustrini. Dalla sua 9.O, manco fosse un
accademico della Crusca, ci ha dettato il testo della prova, una 12.V
di rompicapo incomprensibile. A nulla è valso il vecchio 13.O
di fingermi preda di nausee insopportabili per andare in bagno a consultare
le formule che vi avevo nascosto: non sono riuscita a cavare un ragno
dal buco. Dopo quattr’ore di inutili sofferenze, ho consegnato il
foglio in bianco e sono uscita col 10.V in fiamme. Mi
sono amaramente 7.O di aver scelto una Facoltà
scientifica: avrei fatto meglio a iscrivermi alla Facoltà di Fumettistica
e specializzarmi in Fotoromanzologia.
Ti abbraccio.
La tua sconsolata amica
Vera
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